IMMISSIONI RUMORI E SOSTANZE INQUINANTI - DANNO NON PATRIMONIALE - Corte d'Appello Napoli Sez. II Sent., 28-02-2023

IMMISSIONI RUMORI E SOSTANZE INQUINANTI - DANNO NON PATRIMONIALE - Corte d'Appello Napoli Sez. II Sent., 28-02-2023

In caso di esercizio di attività illecita di manutenzione di natanti, comportante l'immissione di rumori esorbitanti la soglia di normale tollerabilità, ma anche di sostanze inquinanti, quali vernici e altri prodotti chimici, sia nell'aria, sia nel terreno, tali da compromettere il normale svolgimento della vita quotidiana e da nuocere all'integrità psico-fisica delle persone, va applicato il principio di diritto per cui il danno non patrimoniale conseguente a simili immissioni illecite è risarcibile indipendentemente dalla prova documentale di un danno biologico, quando sia acquisita la dimostrazione della lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all'interno della propria abitazione e del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte di Appello di Napoli - II sezione civile, in persona dei Magistrati:

dott.ssa Rosaria Papa - Presidente

dott. Sergio Gallo - Consigliere

dott.ssa Maria Teresa Onorato - Consigliere rel.

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile, in grado di appello, iscritta al n. 1415/2018, assunta in decisione all'udienza del 9 novembre 2022 celebrata nelle forme della trattazione scritta e vertente

TRA

C.S., c.f. (...), in proprio e quale amministratore e legale rappresentante della P.Y.C. S.c.a.r.l., p.i. (...), entrambi rappresentati e difesi dall'Avvocato Giulio Zinna nel cui studio in Napoli alla via Giordano Bruno n. 88 elettivamente domiciliano, giusta procura in calce alla citazione in appello, indirizzo di posta elettronica certificata giuliozinna@avvocatinapolilegalmail.it

APPELLANTI

CONTRO

M.M., c.f. (...) e M.A., c.f. (...), entrambi rappresentati e difesi dall'Avvocato Simona Viparelli nel cui studio in Napoli alla via San Pasquale a Chiaia n. 55 elettivamente domiciliano, giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e alla memoria difensiva in atti, indirizzo di posta elettronica certificata simonaviparelli@avvocatinapoli.legalmail.it

APPELLATI - APPELLANTI INCIDENTALI

NONCHÉ

A.N., c.f. (...)

C. di P.A., c.f. (...)

I.S.R., c.f. (...)

APPELLATI - CONTUMACI

OGGETTO: appello alla sentenza emessa dal Tribunale di Napoli, XI sezione civile, n. 1209/2018, del 30 gennaio 2018, pubblicata il 5 febbraio 2018 e notificata in pari data, in materia di eliminazione di opere abusive, cessazione molestie e risarcimento del danno.

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

1. Con atto d'appello notificato in data 5 marzo 2018 C.S., in proprio e quale amministratore e legale rappresentante della P.Y.C. S.c.a.r.l., ha impugnato la sentenza emessa dal Tribunale di Napoli, XI sezione civile, n. 1209/2018, del 30 gennaio 2018, pubblicata il 5 febbraio 2018 e notificata in pari data nella parte in cui ha ordinato alla società di cessare le immissioni e condannato entrambi al pagamento in favore degli attori M.M. e M.A. della somma di Euro 20.000,00, oltre le spese del giudizio.

All'esito dell'articolazione dei motivi di impugnazione, su cui oltre, ha chiesto, previa sospensione dell'esecutività della sentenza gravata, di respingere integralmente la domanda avversaria o quanto meno di riformarla in confronto di C.S. in proprio, per il difetto di legittimazione passiva in capo a costui, il tutto con il favore delle spese del doppio grado di giudizio, con distrazione.

2. M.M. e M.A. si sono costituiti tempestivamente in data 17 maggio 2018 per resistere all'impugnazione principale e formulare appello incidentale perché sia riconosciuto e ristorato l'ulteriore danno da edificazione abusiva.

3. Sono rimasti contumaci C. di P.A., I.R. e A.N., destinatari di valida notifica dell'appello sia principale sia incidentale.

4. L'istanza sospensiva è stata respinta dalla Corte con Provv. datato 4 - 7 maggio 2018.

Nel corso del giudizio parte appellata ha proposto, con separato ricorso, istanza ai sensi dell'art. 614 bis c.p.c. per ottenere la coercizione indiretta all'ordine di cessare le immissioni di odori rumori ed esalazioni nocive e moleste e interdire così, tramite una sanzione pecuniaria, l'attività di manutenzione dei natanti, affermata ripresa nonostante l'ordine contenuto in sentenza.

La Corte, con Provv. del 18 - 25 luglio 2018, ha dichiarato inammissibile l'istanza, mai proposta, nonostante la sua natura accessoria al provvedimento di condanna domandato in via principale, al giudice della cognizione in primo grado.

È stato acquisito il fascicolo del primo grado del giudizio.

In appello non è stata svolta ulteriore attività istruttoria.

4.1. All'esito della celebrazione cartolare dell'udienza del 9 novembre 2022 la Corte ha assunto la causa a sentenza con la concessione dei termini dell'art. 190 c.p.c. per lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

5. Per meglio comprendere le questioni che tuttora agitano le parti conviene ripercorrere i passaggi salienti del primo grado del giudizio.

5.1. Con atto di citazione notificato il 28 giugno 2008 M.M. e M.A. hanno convenuto in giudizio dinanzi alla sezione distaccata di Pozzuoli del Tribunale di Napoli A.N., C. di P.A., C.S. ed I.R. per sentirli condannare ad eliminare le opere abusive da costoro realizzate sul fondo contiguo al proprio, cessare le molestie intollerabili di fumi ed odori dipendenti dall'abusivo esercizio in loco di attività di rimessaggio e manutenzione dei natanti e di risarcire i danni loro causati dalla protratta privazione di veduta, luce ed aria, nonché dal prolungato assoggettamento a rumori, fumi, odori nocivi, con vittoria di spese. Hanno premesso di essere proprietari, giusta atto d'acquisto per notar P.S. del (...), del fondo edificato e nel resto consistente in ampio terreno parte giardinato e parte coltivato in P., sul L.C.C. n. 10 (in catasto al foglio (...) particella (...)), a confine con il fondo di proprietà dei coniugi A.N. e C. di P.A., sul quale insiste un capannone metallico alto circa 10 metri e lungo 25 adibito a rimessaggio di barche gestito da C.S. e I.R.. Hanno lamentato l'edificazione della costruzione a distanza illegale, con violazione degli artt. 873 e 907 c.c., imposizione a loro danno di un'illegittima servitù attiva d'aria e luce e compromissione della veduta diretta ed obliqua quale goduta in precedenza. Hanno anche protestato intollerabili immissioni di rumori ed esalazione, oltre all'esposizione a pericolo di incendi, dall'attività di rimessaggio e manutenzione dei natanti, pregiudizievole per la loro salute dato l'impiego di vernici, addensanti, collanti ed altri prodotti chimici fortemente inquinanti l'ambiente e i terreni circostanti.

5.2. A.N., C. di P.A. e I.R., nella loro tempestiva comparsa di costituzione e risposta, hanno deplorato il proprio difetto di legittimazione passiva per avere C. di P.A. e A.N. concesso in locazione commerciale, con contratto del 1 ottobre 1992, alla Cooperativa P.Y. S.c.a.r.l. il terreno oggetto di causa e di avere rinnovato il rapporto locativo con scrittura successiva del 1 gennaio 2008 fino al 31 dicembre 2013. I.R. ha negato di occupare il bene. Tutti, ad ogni modo, hanno dichiarato che il predio viene impiegato per il solo deposito di imbarcazioni da diporto e attrezzature per il ricovero e la movimentazione delle stesse, conformemente al titolo contrattuale, negando l'esistenza in loco di macchinari ed utensileria per le lavorazioni e finanche di corrente elettrica ed acqua, quest'ultima occasionalmente fornita in via amichevole da un vicino. Hanno anche negato l'esistenza di costruzioni erette in violazione di distanza, essendo presenti soltanto due tettoie smontabili di altezza e dimensioni di gran lunga inferiori a quelle indicate da controparte in citazione, rispettose delle distanze dai confini, le sole rilevanti per essere la costruzione edilizia degli attori, per altro indicata abusiva, posizionata molto internamente al loro terreno.

Hanno proposto domanda riconvenzionale subordinata per l'eventuale accertamento di edificazioni recenti ed illegittime dagli attori affinché ne sia ordinato l'abbattimento e per la loro condanna al risarcimento del danno per responsabilità aggravata.

5.3. Autorizzata la rinotifica della citazione al solo C.S. in mancanza di prova di regolare sua vocatio in jus, costui si è costituito negandosi legittimato passivamente alla lite e ribadendo l'infondatezza della domanda avversaria per i medesimi argomenti già spesi dagli altri convenuti. Anche lui ha agito in riconvenzionale per il ristoro del danno ai sensi dell'art. 96 c.p.c..

5.4. Con ordinanza del 21 gennaio 2011 è stata autorizzata la chiamata in causa della Cooperativa P.Y. a r.l. la quale, costituendosi per l'udienza del 2 novembre 2011, ha premesso di essere titolare di concessione n. 106 del 2008 per un'area demaniale marittima nel porto di Procida su cui ha dichiarato di svolgere le attività di manutenzione, oltre che di alaggio e varo delle imbarcazioni affidatele, e di detenere il fondo dei coniugi A. solo per collocarle in deposito, come per altro autorizzata a fare dal Comune di Procida con la autorizzazione al ricovero n. 1752 del 21 febbraio 1994 e come comprovato dalla perizia giurata a firma del geom. L.D. (attività per altro valutata legittima dal

T.A.R. per la Campania che, con sentenza n. 4320 del 7 luglio 2011, ha annullato l'ordinanza del Comandante della Polizia municipale n. 46 di sua cessazione per asserita mancanza della d.i.a.). Ha dunque negato l'impiego ulteriore e differente del terreno, per altro inidoneo per le sue caratteristiche oggettive e per le strutture ivi allocate, allo svolgimento delle lavorazioni tipiche di un cantiere nautico. Ha richiamato il verbale ispettivo della A.N. 2 - Servizio Prevenzione e Sicurezza degli Ambienti di Lavoro del 10 giugno 2008 e riferito che con Provv. del 6 luglio 2010 il Comune di Procida ha autorizzato, per i mesi estivi, l'impiego dell'area contesa per la sosta gratuita dei veicoli, ad ulteriore dimostrazione dell'assenza in loco di strumenti per le lavorazioni osteggiate dagli attori. Ha anche preso posizione sulla mancanza di violazione delle distanze, associandosi alla linea difensiva dei convenuti già costituiti.

5.5. Il giudizio è stato istruito escutendo i testimoni addotti da entrambe le parti e con l'acquisizione della documentazione prodotta dagli attori. Indi la causa è stata trattenuta a sentenza.

6. Con la decisione qui impugnata il giudice di prime cure ha respinto la domanda volta ad ottenere l'eliminazione delle costruzioni asserite erette in violazione degli artt. 873 e 907 c.c. acquisendo, dalla lettura delle planimetrie prodotte in giudizio e non contestate da alcune delle parti, che i capannoni o tettoie edificate sul terreno insistono ad almeno mt. 5,00 dal confine con la particella di proprietà degli attori.

Il Tribunale non ha ritenuto neppure compromessa o ridotta in maniera significativa la veduta degli attori, recependo il principio per il quale la violazione della normativa edilizia ad opera dei vicini, comprovata dall'ordinanza di demolizione in atti, non dà diritto all'abbattimento del manufatto illegittimo, ma solo al risarcimento del danno, nella specie non provato e neppure allegato. Nella sua decisione di rigetto della domanda risarcitoria il decidente ha anche osservato come l'immobile degli attori, a sua volta edificato senza titolo autorizzativo, non goda di particolari vedute, né che su di esse abbia interferito la presenza del manufatto.

6.1. Ha ricevuto - invece - accoglimento la domanda risarcitoria per immissioni moleste la cui esistenza è stata affermata all'esito dell'esame sia delle testimonianze raccolte, sia degli atti del procedimento penale, comprovanti l'attività di manutenzione dei natanti in rimessaggio, comprendenti lavaggio e pitturazione, fonte di esalazioni intollerabili sia di vapori nocivi sia di liquido inquinante. In ragione dell'entità delle molestie e della decennale durata delle stesse è stata equitativamente determinata in funzione di ristoro la somma di Euro 20.000,00.

La responsabilità è stata riconosciuta in capo alla P.Y.C. S.r.l. e al suo amministratore, personalmente coinvolto nell'attività materiale lesiva, per questo condannati entrambi al risarcimento dei danni conseguenti.

Non si è invece riscontrata sufficiente prova della partecipazione a tali attività da I.R., nei confronti del quale la domanda è stata respinta.

Le ulteriori domande, inclusa la riconvenzionale promossa dai convenuti sia per ottenere l'eliminazione delle opere abusive ascritte agli attori, sia per il risarcimento dei danni ai sensi dell'art. 96 c.p.c., sono state respinte.

Le spese del giudizio sono state poste a carico dei soccombenti P.Y.C. e C.S. e compensate quanto agli ulteriori convenuti A.N., C. di P.A. ed I.R..

7. Con il primo motivo di appello C.S., in proprio e quale amministratore e legale rappresentate della P.Y.C. S.c.a.r.l., ha contestato la sentenza nella parte in cui ha accolto la domanda proposta per violazione dell'art. 844 c.c. ordinando di cessare le immissioni moleste, frutto, a parere della difesa, di errata e immotivata interpretazione degli atti e documenti di causa, oltre che di malgoverno delle testimonianze raccolte in cui sarebbe incorso il giudice di prime cure che ne avrebbe affrettatamente tratto la prova dell'an della condotta contra jus.

7.1. In primo luogo si è negato lo svolgimento, all'interno del capannone della P.Y.C., di attività di manutenzione dei natanti in rimessaggio, fonte di immissioni intollerabili di vapori nocivi e di liquidi inquinanti, mancando sufficienti elementi probatori a confronto e deponendo in senso decisamente contrario l'esito della prova testimoniale raccolta.

I testimoni a favore della tesi avversaria, infatti, si sarebbero contraddetti ripetutamente e non avrebbero adeguatamente collocato temporalmente le circostanze riferite.

In particolare, P.A. avrebbe prima riferito l'assenza nel terreno degli istanti di acqua, energia elettrica e macchinari e ricordato la destinazione a parcheggio durante il periodo estivo, ma poi affermato l'esistenza di esalazioni dagli acidi utilizzati, senza tuttavia chiarirne la natura. Ulteriore contraddittorietà della deposizione di costei sarebbe consistita nel ricordare le esalazioni e gli odori in periodo estivo, allorquando il fondo non è occupato dalle imbarcazioni da diporto, ma dai veicoli in sosta consentita e disciplinata dal Comune di Procida.

Ulteriori contraddizioni sono state denunciate quanto agli ulteriori testimoni, occasionali frequentatori dell'isola e legati anche affettivamente agli attori, tanto da renderne inutilizzabili le dichiarazioni.

Al contrario, sono state valorizzate le testimonianze addotte dai concludenti (raccolte da S.A.R., D.L.G., M.S., meglio al corrente dei fatti in quanto gli ultimi residenti sull'isola e la prima sua abituale frequentatrice), univoche nel riferire l'utilizzo del fondo per il solo deposito di imbarcazioni da diporto; la mancata dotazione di energia elettrica e acqua; l'occasionale approvvigionamento idrico tramite una manichetta dal fondo limitrofo (della teste S.); la destinazione del predio in periodo estivo al parcheggio ... tutti elementi contrari alla possibilità di svolgere in loco attività illecite produttive delle immissioni lamentate dagli avversari.

Si è dunque deplorata la sommaria valutazione delle prove testimoniali, proponendo una conclusione contraria a quella contenuta in sentenza, unica - per altro - compatibile con la copiosa documentazione agli atti.

Da quest'ultima, infatti, a parere della difesa appellante, sarebbe dimostrato l'impiego per le attività di manutenzione delle imbarcazioni e per le operazioni di alaggio e varo dei natanti delle due aree demaniali marittime concesse alla P.Y.C. e la destinazione del terreno di causa al solo deposito, in conformità con quanto previsto dal contratto (rimessaggio di barche e attrezzature varie) e compatibilmente con l'assenza di utenze allacciate per la somministrazione elettrica ed idrica.

È stata quindi richiamata la ragione sociale della società (gestione di porti ed approdi turistici, servizio di approvvigionamento alle barche da diporto, noleggio di natanti, rimessaggio e custodia ...), la concessione delle aree demaniali in cui l'attività sociale viene svolta, gli accordi tra consorziati per il miglior svolgimento di questa nell'ambito del porto di Marina di Chiaiolella; la detenzione del terreno di causa per il solo deposito di natanti ed attrezzature ....

Gli appellanti hanno stigmatizzato come all'ispezione dai funzionati della A.S.L. in data 10 giugno 2008 non sia risultata alcuna attività di manutenzione, preparazione o verniciatura in corso, né alcuna immissione molesta ed insalubre di fumi, odori, esalazioni inquinanti, rumori o frastuoni insopportabili e neppure alcuna traccia dell'esecuzione di lavorazioni con sostanze tossiche.

Si è anche evidenziato che i militari dell'arma dei Carabinieri, recatesi sui luoghi il 17 giungo 2010, hanno potuto rilevare soltanto il lavaggio, tramite il getto d'acqua erogato da una manichetta in gomma, di una barca in consegna al proprietario dopo la lunga sosta invernale, ribadendo che il fondo detenuto dalla società è destinato esclusivamente al ricovero dei natanti e null'altro, al punto da poter essere impiegato nel periodo primaverile ed estivo, liberato dalle imbarcazioni, a parcheggio di veicoli, come confermato dalle relazioni di servizio redatte dal Comando di Polizia Municipale del Comune di Procida.

7.2. Ulteriore errore su cui la Corte è stata sollecitata ad intervenire per riformare la sentenza gravata e rigettare la domanda attorea in quanto infondata e carente della prova è l'avere utilizzato per la decisione il decreto di citazione a giudizio di C.S. nella qualità di presidente della società cooperativa P.Y. per i reati p. e p. dagli artt. 110 e 81 c.p., 192 comma 1 e 2, 256 comma 2, 269 comma 1 e 279 comma 1 del D.Lgs. n. 152 del 1996 e, in proprio, per il reato di falso ideologico in atto pubblico, sebbene il documento de quo sia stato prodotto tardivamente nel giudizio, sia inconferente e sia privo di valore probatorio o anche solamente indiziario.

In particolare, è stata osservata la non coincidenza tra le parti dell'odierno giudizio civile e i soggetti attinti dal decreto di citazione a giudizio davanti al Tribunale di Napoli che, a tacere d'altro, quale atto del procedimento penale, non sarebbe in ogni caso idoneo a comprovare la commissione dal C. delle attività fonte di immissioni, né a validare la tesi del carattere nocivo e molesto di queste, sottolineando l'autonomia dell'accertamento della responsabilità civile dall'esercizio dell'azione penale e i differenti presupposti giuridici escludenti una nozione unitaria della condotta giuridicamente rilevante.

7.3. Con il medesimo motivo è stata contestata l'interpretazione dal Tribunale del verbale redatto in data 17 giugno 2010 dagli agenti di Polizia giudiziaria intervenuti sul fondo di causa, non avendo costoro osservato alcuna attività di manutenzione o rimessaggio in corso, né reperito solventi o sostanze tossiche, ma accertato solamente il lavaggio con un getto d'acqua erogato tramite una macchinetta di gomma di un natante collocato all'uscita dell'area per essere consegnato al proprietario.

Allo stesso modo, si è ritenuta scarsamente significativa l'attività di verniciatura di un ciclomotore tipo Vespa risultata al successivo sopralluogo dai Carabinieri del 18 novembre 2016, attività del tutto casuale, neppure rientrante tra quelle svolte dalla società.

7.4. Infine, le analisi sui campioni di terreno prelevato fino alla profondità di venti centimetri effettuate dall'A.R.P.A.C. in data 18 settembre 2014 non sarebbero significative in quanto limitate al fondo adibito al deposito di imbarcazioni e non estese al fondo contermine di proprietà degli attori, adombrandosi la contaminazione ambientale per diversa e preesistente causa dell'intero territorio. In altre parole, nulla dimostrerebbe l'esistenza del nesso di causalità tra la condotta illecita ascritta agli appellanti e il presunto - ma non provato - danno risarcito.

7.5. L'articolato motivo è infondato.

La domanda attorea ha trovato accoglimento siccome supportata da prove documentali anche fotografiche e deposizioni testimoniali che il primo giudice ha correttamente valutato, prediligendone alcune rispetto ad altre perché maggiormente coerenti con gli elementi indiziari tratti dagli atti d'indagine e da quelli del procedimento penale da poco esitato nella sentenza di condanna a carico degli odierni appellanti per i medesimi fatti illeciti - reati ambientali e falso ideologico relativo allo smaltimento dei rifiuti prodotti con l'attività ascritta alla società - su cui fonda la pretesa risarcitoria civile.

Si tratta dei medesimi fatti denunciati all'Autorità dall'attrice e odierna appellata M.A. a cominciare dal 20 settembre 2008 e meglio circostanziati al giugno 2013, già oggetto di diffide agli autori delle attività lamentate come lesive a partire dal mese di maggio 2008 e espressi nella richiesta di intervento alla A.S.L. del 6 giugno 2008, anticipata a mano il 16 maggio dello stesso anno.

A prescindere dalla condanna sopravvenuta, indisponibile per il primo giudice ma utilizzabile dalla Corte, il Tribunale civile ha validamente posto a base della sua decisione elementi indiziari che hanno corroborato le ulteriori prove documentali, autonomamente apprezzabili a prescindere dalla valutazione a farsene dal Tribunale penale, idonee a sorreggerne il libero convincimento e consistite nei saggi geognostici disposti dagli inquirenti; nella relazione conclusiva dell'A.R.P.A.C.; nel verbale d'intervento dei Carabinieri del N.O.E., oltre che, come anticipato, negli atti conclusivi d'indagine, ossia nel decreto di citazione a giudizio.

È noto il principio, portato dall'art. 116 c.p.c., del libero convincimento del giudice, concorrente con quello di atipicità delle prove che rende queste comunque valutabili (salvo nel caso di necessità di specifiche ipotesi di prova legale), di talché possono essere poste a base della decisione tutte le risultanze istruttorie acquisite, a prescindere dalla provenienza, anche esogena al giudizio, tendenzialmente senza gerarchia fra cosiddette prove precostituite e prove costituende. Per effetto di esso è senz'altro consentito al giudice civile trarre elementi di prova dagli atti del procedimento penale (sentenza ma anche atti delle indagini penali), ferma la necessità di un'autonoma valutazione degli stessi, attività cui il Tribunale non si è sottratto (in argomento, Cassazione civile, sez. III, 21.09.2021, n. 25503; Cassazione civile, sez. II, 12.02.2021, n. 3689; Cassazione civile, sez. III, 19.07.2019, n. 19521). Trattando la medesima questione che ha riguardato anche la sopravvenuta condanna definitiva in sede penale, merita prima di tutto conferma la decisione del primo giudice di dare ingresso ai documenti di formazione successiva all'introduzione della domanda e alle preclusioni istruttorie. Il principio riguarda anche il caso della sentenza penale prodotta nel presente grado d'appello e consente certamente di conoscere la sentenza successiva alla stessa impugnazione, a maggior ragione perché si tratta di un provvedimento di natura giudiziaria che ha riguardato le parti nel medesimo giudizio civile, dunque formato nel loro contraddittorio e sicuramente rilevante per la decisione.

Ben ha - quindi - il Tribunale acquisito i provvedimenti sopravvenuti alla preclusione istruttoria prodotti dagli attori, tanto consentendolo la condivisa riflessione per la quale la barriera temporale per le deduzioni probatorie non riguarda la produzione documentale la cui pre-costituzione risale ad epoca successiva rispetto allo spirare del termine perentorio.

7.6. Tanto detto, il convincimento giudiziale è fondato sulla ponderazione contestuale e sinergica di tutti gli elementi indiziari e di prova acquisiti nel corso dell'istruttoria e la sentenza di condanna al risarcimento del danno insieme all'ordine di cessare le immissioni moleste è frutto della valutazione complessiva di tali elementi, tra loro convergenti, senza che sia apprezzabile il difetto di motivazione denunciato con l'appello.

In primo luogo, le deposizioni testimoniali favorevoli alla prospettazione attorea non appaiono, allo scrutinio della Corte, per nulla "generiche, a tratti contraddittorie, prive di alcuna collocazione temporale". Non dimostra il contrario il fatto che taluni tra i testi escussi siano residenti a Napoli, avendo costoro precisato di frequentare l'isola nei fine settimana, non soltanto estivi, e circostanziato adeguatamente la fonte della loro conoscenza, dimostrando che questa è stata diretta. Né inficia la genuinità del propalato il rapporto di parentela o d'amicizia con le parti in causa che non fa sospettare dell'attendibilità del narrato, a maggior ragione quando esso rinviene piena convergenza nelle ulteriori acquisizioni probatorie, attuando una solida convergenza del molteplice. Piuttosto la relazione addotta come sospetta giustifica la conoscenza del riferito e la frequentazione stessa dei luoghi di causa da parte dei testimoni.

Ragionare diversamente trascurerebbe il fatto che anche la conterraneità o la colleganza che è propria dei testimoni indicati dalla parte oggi appellante potrebbe screditare una deposizione sincera, cosa che non vi è motivo di ritenere: la preferenza delle une rispetto alle altre testimonianze è stata infatti basata su più seri argomenti quali i riscontri con atti d'indagine e i provvedimenti di organi statali, equidistanti dai contraddittori, preposti per di più alla tutela di interessi pubblici.

Le deposizioni da P.A., M.V. e D.M.V. non denotano affatto genericità, contraddittorietà o incertezza di riferimento temporale denunciata in appello. Tutti loro, infatti, hanno circostanziato le fonti della personale conoscenza dei fatti di causa (come già detto, acquisita direttamente) e confermato quanto loro richiesto con i capi di domanda formulati dagli attori. Tutti hanno riferito, avendolo constatato de visu, lo svolgimento - prevalentemente nel periodo primaverile che intercorre tra marzo e giugno - di opere di manutenzione, levigatura e verniciatura dei natanti in vista del varo a mare sul terreno locato come semplice deposito e detta attività è risultata del tutto compatibile con l'utilizzo della medesima area quale parcheggio di vetture dal Comune di Procida durante l'estate. Le due attività - difatti - sono riferibili a periodi diversi dell'anno. In particolare, la teste P.A., abituale villeggiante a P. ove dal 1986 possiede un'abitazione sul L.C.C. e conoscente dei coniugi M. - M. dal 1989, ha precisato di avere assistito in prima persona alle attività di cantiere svolte dal C. sul fondo di causa, precisando che "si vede dalla mia abitazione e perché sento forti odori di vernici ... e perché più volte sono state anche bruciate delle piante che si trovavano al confine", aggiungendo di avere visto grattare con la carta vetrata le imbarcazioni per rimuovere la vernice esistente e che "le operazioni di verniciatura vengono effettuate anche sul fondo di proprietà C./A.".

La teste M.V. ha riferito che sul fondo dei convenuti, contiguo alla proprietà dei suoi zii, ove è solita recarsi nei fine settimana e anche per periodi più lunghi a cominciare dai mesi primaverili, "si svolgevano attività per cui ho sentito rumori di aria compressa, odori di vernice ed altri rumori di attrezzature elettriche" aggiungendo che "in alcune circostanze i rumori erano talmente forti che siamo dovuti andare a pranzare all'interno" e che "dal fondo in questione provengono odori persistenti di vernici e sostanze chimiche e quando il vento è a favore non si riesce neanche a prendere il sole".

Il teste D.M.V. ha ricordato come, nel recarsi in visita dai figli degli attori, essendone amico, già alla fine degli anni novanta, vedeva "persone lavorare alle barche accendendo tra l'altro i motori ed utilizzando macchinari per levigare la vernice".

7.7. Non depone sicuramente nel senso contrario la documentazione prodotta dai convenuti e consistita in due contratti locazione tra i proprietari del fondo ed il C. nella qualità ad uso esclusivo di "deposito di barche e attrezzature varie" oltre che in licenze amministrative e in un verbale ispettivo della A.S.L di cui la difesa appellante ha protestato l'interpretazione scorretta o addirittura omessa dal primo giudice.

La destinazione d'uso stabilita in contratto non necessariamente viene rispettata dai contraenti e l'istruttoria svolta ha dimostrato che ciò è esattamente avvenuto nel caso di specie.

Anche il tenore delle autorizzazioni non preclude di fatto possibili abusi e i fatti rilevanti penalmente documentano che effettivamente sul fondo, nonostante quanto assentito dall'Autorità, si sia svolta anche attività di manutenzione dei natanti.

La disponibilità di aree in concessione demaniale marittima per l'alaggio ma anche per la manutenzione dei natanti non dimostra affatto che le lavorazioni siano state eseguite esclusivamente su di esse.

Nella relazione degli ispettori della A.S.L., infine, è riferita l'esistenza di un deposito contenente barili di vernici ed attrezzature, accertata successivamente dai Carabinieri del N.O.E. intervenuti in corso d'indagini preliminari, di talché nulla nel senso di escludere l'attività lavorativa nociva può desumersene, se non il fatto che essa non fosse in corso al momento del sopralluogo, perché sospesa o interrotta.

Tale atto istruttorio, in ogni caso, va ponderato con coevi atti d'indagine dei Carabinieri del Nucleo di Emergenza Ambientale e della Polizia municipale che hanno appurato la conduzione in loco di attività di manutenzione delle imbarcazioni all'interno del deposito con impiego di solventi e altri prodotti chimici al punto che con ordinanza del 28 maggio 2010 il Comune ha intimato a C.S. e I.R. di cessare l'attività, oltre che di abbattere la costruzione metallica liberando immediatamente il fondo da presenze di sostanze nocive e tossiche.

L'autorizzazione comunale alla sosta di veicoli, a partire dal 2010, non interferisce con lavorazioni in periodo tardo invernale e primaverile, cui notoriamente esse vengono eseguite in vista dell'alaggio nei mesi in cui la navigazione da diporto è praticata dalla generalità (la liberazione dell'area dalle imbarcazioni corrisponde alla maggior esigenza di questa per fini di ricovero di vetture dei numerosi villeggianti che affollano l'isola in estate). La rilevanza del decreto di citazione a giudizio datato 28 gennaio 2016 e acquisito all'udienza del 16 febbraio 2017, è surclassata dalla statuizione condannatoria ad esso conseguita che ha riconosciuto reale l'ipotesi di reato formulata dalla Procura della Repubblica sulla base dalla denuncia-querela della M. nel 2008 e il 28 giugno 2013, rendendo pronuncia di penale responsabilità di C.S. quale presidente della P.Y.C. S.c.a.r.l. (assolvendo invece A.A., figlio di A.N. e C. di P.A., quale proprietario dell'area), per avere utilizzato il predio per il rimessaggio e la manutenzione delle imbarcazioni in assenza della prescritta autorizzazione agli scarichi di acque reflue industriali provenienti da detta attività; per avere immesso nel sottosuolo acque derivanti dal lavaggio e manutenzione dei natanti miste a vernici, solventi, combustibili e lubrificanti senza preventivamente depurarle; per avere utilizzato vernici a spruzzo ed effettuato operazioni di carteggiatura e sabbiatura con emissioni incontrollate in atmosfera e per avere smaltito rifiuti pericolosi tali risultati dai campionamenti dell'A.R.P.A.C. datati 30 ottobre 2014, nonché C.S. personalmente per avere indicandoto falsamente questi ultimi come rifiuti non pericolosi.

Il decreto di citazione a giudizio datato 28 gennaio 2016 - e a maggior ragione la sentenza che ne è seguita - è stato valutato correttamente quale elemento di conferma della fondatezza delle doglianze attoree, senza che ad integrare la responsabilità risarcitoria civile rilevi il livello dell'inquinamento del terreno accertato dall'A.R.P.A.C. per effetto dello smaltimento non autorizzato di acque reflue e di detriti di risulta delle opere di verniciatura, come stabilito dal D.Lgs. n. 152 del 2006 in quanto, a fini inter-privati, è sufficiente che sia comprovata l'attività di illecita immissione di sostanze inquinanti, esalazioni tossiche e rumori molesti nel fondo di proprietà dei coniugi M. - M. con caratteri di non tollerabilità in sé perché nocive per la salute delle persone e pregiudizievoli del diritto dominicale del fondo.

Ad ogni modo, anche in assenza di comparazione con la condizione dei terreni contermini (ma la prova dello stato del loro inquinamento sarebbe spettata agli odierni appellanti per liberarsi della responsabilità individuata a carico degli stessi), vi è ampia evidenza, dall'esame del campione di terreno prelevato dall'A.R.P.A.C. in data 18 settembre 2014 presso la sede della P.Y., di presenza di valori di concentrazione di metalli ed idrocarburi pesanti (rame, stagno, zinco, idrocarburi) superiori alla concentrazione soglia di contaminazione quale fissata dalla tabella 1 allegato 5 titolo V parte IV del D.Lgs. n. 152 del 2006 e successive modifiche in ragione della destinazione da P.R.G. del sito a verde pubblico, privato e residenziale. Anzi, a questo proposito va evidenziato come il tecnico comunale geom. C.L., sentito a sommarie informazioni dai Carabinieri del N.O.E. il 20 agosto 2013, abbia chiarito, per conoscenza diretta e compiti del suo Ufficio, che la zona oggetto dell'odierno contenzioso "è destinata secondo il P.R.G. e secondo il piano territoriale paesaggistico a zona di verde di rispetto delle coste" e conferme in tal senso si hanno dal certificato ad istanza di M.G., venditrice dell'immobile che attualment e si appartiene agli attori - appellati prot. n. (...).

7.8. Se è vero, allora, che l'art. 844 c.c. "non impedisce affatto tout court le immissioni di fumo, calore, esalazione, rumori, scuotimenti e simili propagazioni", è altrettanto vero che le immissioni moleste derivanti dallo svolgimento di un'attività illecita e foriera di danno sono in re ipsa intollerabili e fonte di responsabilità risarcitoria. Va infatti distinta l'attività produttiva svolta senza l'autorizzazione dell'Autorità preposta, per la quale il contrasto con gli interessi tutelati va valutato secondo criteri di "stretta tollerabilità", da quella esercitata secondo l'autorizzazione, per la quale il superamento dei limiti consentiti alle immissioni va accertato prendendo a riferimento la "normale tollerabilità" prevista dall'art. 844 c.c. La questione è oggetto anche del 9.1..

8. Con il secondo motivo di appello è stata contestata la sentenza nella parte in cui il giudice di prime cure ha esteso la responsabilità per i fatti dedotti a C.S., amministratore della società, ritenendo che costui abbia personalmente svolto le attività incriminate, richiamando a tal fine gli atti del procedimento penale che, nondimeno, lo vedono imputato per i reati ambientali solo nella qualità di presidente della società cooperativa P.Y.C., quale conseguenza del principio vigente nell'ordinamento per cui societas delinquere non potest, venendo chiamato a rispondere in proprio del diverso delitto p. e p. dall'art. 483 c.p.c. di falsità ideologica per avere dichiarato falsamente che la Y. smaltisce rifiuti non pericolosi, senza possibilità di inferire da ciò l'esercizio materiale e diretto da costui dell'attività illegale.

La difesa ha deplorato l'erroneità dell'ulteriore argomento posto a fondamento dell'associazione nella condanna risarcitoria del C. per il qual costui avrebbe materialmente atteso alle attività lavorative nocive disponendo la società solamente di quattro addetti. Nulla sarebbe stato documentato in tal senso, né i testimoni avrebbero riferito lo svolgimento personale di attività lavorative dal C., di talché in mancanza dell'espressione del principio di diritto da cui evincere la responsabilità personale di costui, la condanna della persona fisica avrebbe il solo scopo di permettere agli attori un più sollecito e certo recupero del credito risarcitorio.

8.1. Il motivo è infondato.

Il Tribunale ha ritenuto che "C.S., amministratore della società, è parimenti responsabile avendo personalmente svolto le attività incriminate, come risulta dagli atti penali".

La conclusione è corretta e conforme alla granitica giurisprudenza per la quale "La domanda volta ad ottenere il risarcimento del pregiudizio di natura personale subìto in conseguenza di immissioni illegittime va proposta nei confronti del soggetto individuato dal criterio di imputazione della responsabilità che può essere l'autore (morale o materiale) del fatto illecito, allorché il criterio di imputazione sia la colpa o il dolo, ovvero il custode della cosa, qualora detto criterio si identifichi nel rapporto di custodia ex art. 2051 c.c." (Cassazione civile, sez. III, 28/05/2015, n. 11125). Le regole dell'imputazione civilistica del danno, infatti, differiscono almeno in parte da quelle della responsabilità penale: se il sistema della responsabilità penale risponde al criterio personalistico per cui rileva la condotta del soggetto persona fisica che l'ha posta in essere, non essendo immaginabile che una società di capitali possa "essere individuata quale materiale autrice di illecito di sorta", il fatto che C.S. abbia assunto la veste sia di presidente della cooperativa sia di esecutore materiale dell'attività illecita denunciata con l'atto introduttivo, quanto meno per avere impresso l'indirizzo societario e impartito disposizioni ai dipendenti e soci, non lo scrimina dalle conseguenze della condotta dal punto di vista del risarcimento civile, sia in forma specifica che per equivalente monetario. Il sistema della responsabilità civile, infatti, conosce il criterio dell'imputabilità oggettiva che, nella fattispecie, concorre con quello della responsabilità soggettiva per avere colpevolmente attuato la condotta illecita (anche avere dichiarato falsamente di eseguire scarico di rifiuti non pericolosi concorre nella integrazione della condotta foriera del danno procurato agli attori).

La condanna in proprio del C., in ogni caso, si giustifica anche per avere costui atteso materialmente alle attività nocive, oltre che per averne consentito lo svolgimento, dando disposizioni sulle attività da effettuare e su dove farlo ai pochi addetti - appena quattro - alle lavorazioni. L'amministratore infatti risponde sia quale preponente, sia quale autore materiale egli stesso dell'attività lavorativa lesiva che i dipendenti abbiano condotto su sua disposizione.

Del resto il C. è stato indicato quale autore della condotta lesiva dai testi che lo hanno riconosciuto esecutore materiale e diretto responsabile delle attività di manutenzione, sverniciatura e verniciatura dei natanti.

Per questa ragione, e non per ampliare la pletora dei patrimoni aggredibili in sede esecutiva, il Tribunale ha indicato in C.S. il responsabile dei fatti da interdire e di quelli forieri delle conseguenze lesive da ristorare.

9. Con il terzo motivo di gravame si è impugnata la misura del risarcimento che il primo giudice avrebbe immotivatamente accordato nella importante cifra di Euro 20.000,00, non essendo soddisfacente il generico richiamo equitativo all'entità del pregiudizio subito, al suo potenziale nocumento per la salute e alla durata delle molestie.

Secondo la difesa appellante dagli atti del giudizio non sarebbe emersa idonea prova dell'esistenza del pregiudizio subito né dell'entità economica dello stesso, in assenza di perizie, consulenze d'Ufficio, certificazioni idonee a dimostrare il superamento della soglia di normale tollerabilità e della riconducibilità agli istanti. Non essendo configurabile il danno da immissioni in re ipsa, occorrendone la prova, il giudice avrebbe potuto procedere alla liquidazione equitativa del pregiudizio subito per effetto di immissioni moleste soltanto in caso di superamento del grado di tollerabilità, previa loro reale verifica, non essendo sufficiente il richiamo ad un comportamento "potenzialmente lesivo per la salute".

9.1. Il motivo è infondato.

Il Tribunale, "tenuto conto dell'entità del pregiudizio subito, potenzialmente nocivo per la salute, e della durata delle molestie (oltre dieci anni)", ha liquidato equitativamente il danno in Euro 20.000,00, somma che ha chiarito essere stata determinata all'attualità e includendovi gli interessi compensativi medio termine maturati.

Con l'articolato motivo d'appello si è contestato l'an debeatur ma, per le ragioni già espresse al paragrafo 7.5., esso va confermato esistente. Gli attori, infatti, hanno puntualmente e pienamente assolto al proprio onere probatorio, fornendo riscontro istruttorio sia alla natura illecita delle immissioni, per non essere stata mai autorizzata l'attività che le ha prodotte, sia al pregiudizio loro derivato in termini di qualità della vita ed oggettiva pericolosità per la salute dell'attività inquinante posta in essere dagli avversari. Il sospetto degli inquirenti sollecitati dalle stesse denunce della M., infatti, è stato confermato dal Pubblico ministero e dallo stesso giudice penale che è pervenuto al riconoscimento della penale responsabilità proprio grazie a quegli accertamenti compiuti dai Carabinieri, dalla A.S.L. e dalla Polizia municipale di cui si è già detto.

Come anticipato, non è neppure necessario, in costanza di un pericolo di danno alla salute, conoscere il grado di esposizione al rischio (tabellato dal D.Lgs. n. 152 del 2006 risultato sforato, come dimostra la stessa formulazione del capo d'imputazione nel decreto di rinvio a giudizio) e - a maggior ragione - la tollerabilità o meno delle esalazioni e dei miasmi di sostanze chimiche e di polveri di vernici rimosse con il carteggio degli scafi delle imbarcazioni. Solo laddove vanno contemperate le opposte e talora antitetiche esigenze della produzione e le ragioni della proprietà viene in evidenza l'art. 844 c.c. che, com'è noto, impone, nei limiti della normale tollerabilità e dell'eventuale bilanciamento, l'obbligo di sopportazione delle propagazioni inevitabili determinate dall'uso delle proprietà attuato nell'ambito delle norme generali e speciali che ne disciplinano l'esercizio. Ma quando, viceversa, come nella fattispecie, si è al di fuori di tale ambito, si è in presenza di un'attività illegittima di fronte alla quale non ha ragion d'essere l'imposizione di un sacrificio, ancorché minimo, all'altrui diritto di proprietà o di godimento, e non sono quindi applicabili i criteri dettati dall'art. 844 c.c. in tema di normale tollerabilità, di contemperamento di interessi contrastanti e di priorità dell'uso, rilevando unicamente l'illiceità del fatto generatore del danno arrecato a terzi, nell'ambito dell'azione generale di risarcimento danni di cui all'art. 2043 c.c. (in argomento, Cassazione civile, sez. III, 02.07.2021, n. 18810). Non è quindi d'ausilio alla posizione degli appellanti la giurisprudenza di legittimità dalla loro difesa citata e che riguarda immissioni sonore - per la quale l'onere di provarne la non tollerabilità ed il concreto danno derivatone compete al danneggiato che agisca per il ristoro - in quanto le esalazioni tossiche e di sostanze inquinanti presentano un fattore di rischio certamente superiore al rumore.

Ebbene, nel caso di specie gli attori hanno provato l'esercizio di un'attività illecita di manutenzione dei natanti comportante l'immissione sia di rumori esorbitanti la soglia di normale tollerabilità, ma anche di sostanze inquinanti: vernici e altri prodotti chimici, sia nell'aria sia nel terreno, tali da compromettere il normale svolgimento della vita quotidiana e da nuocere all'integrità psico-fisica delle persone. Per casi consimili, come anticipato, va applicato il principio di diritto per cui il danno non patrimoniale conseguente a simili immissioni illecite è risarcibile indipendentemente dalla prova documentale di un danno biologico quando sia acquisita la dimostrazione della lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all'interno della propria abitazione e del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, entrambi costituzionalmente garantiti e rinvenienti ulteriore protezione dall'art. 8 della Convenzione europea dei diritti umani (Cassazione civile, sez. VI, 28.07.2021, n. 21649). Proprio per un caso di polveri da un opificio la Corte regolatrice ha trovato recentemente l'occasione di chiarire che "i parametri fissati dalle norme speciali a tutela dell'ambiente, pur potendo essere considerati come criteri minimali di partenza, al fine di stabilire l'intollerabilità delle emissioni che li eccedano, non sono necessariamente vincolanti per il giudice civile che, nello stabilire la tollerabilità o meno dei relativi effetti nell'ambito privatistico, può anche discostarsene, pervenendo al giudizio di intollerabilità delle emissioni, ancorché contenute in quei limiti, sulla scorta di un prudente apprezzamento che consideri la particolarità della situazione concreta e dei criteri fissati dalla norma civilistica" (Cassazione civile, sez. II, 24.11.2020, n. 26715), affermazione che rende pleonastica ogni ulteriore riflessione quando quei parametri siano sforati.

Data la natura stessa del bene tutelato, la prova del pregiudizio ad esso può essere fornita in ogni modo, anche mediante presunzioni, sulla base delle nozioni di comune esperienza (Cassazione civile sez. II ordinanza 04.07.2017, n. 16408). Si è così affermato che "l'accertamento di immissioni che superino la soglia di tollerabilità comporta ex se l'obbligo di risarcimento del pregiudizio subito, anche quando non risulti integrato un danno biologico. La lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all'interno della propria casa di abitazione e del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, costituiscono, invero, pregiudizi apprezzabili in termini di danno non patrimoniale" (Cassazione civile, sez. II, 28.08.2017, n. 20445).

Ebbene, è indubbio che nella fattispecie sia riconoscibile la compromissione di diritti della persona al normale svolgimento della propria vita e delle proprie abitudini quotidiane, oltre che del diritto alla salute, per la natura potenzialmente nociva delle immissioni inquinanti da impiego di sostanze tossiche, quali vernici e solventi, in sé pericolose e "potenzialmente nocive per la salute" perché comportanti un aumentato fattore di rischio di contrarre patologie, oltre che per le caratteristiche della zona e delle abitudini degli abitanti che è, come visto, del tutto estranea alla presenza di attività produttive (sulla necessità di valutare l'ambiente territoriale di riferimento, Cassazione civile, sez. VI, 06.02.2020, n. 2757).

9.2. Qualora dette attività siano frutto di condotta illecita perché assunta in violazione di norme di legge, la mera potenzialità lesiva si invera in danno attuale ed ingiusto di natura non patrimoniale ma passibile di valutazione monetaria per via equitativa.

Correttamente, dunque, il primo giudice è acceduto alla quantificazione del danno applicando l'art. 1226 c.c., vertendosi in ipotesi di "impossibilità o notevole difficoltà in ordine alla dimostrazione dell'ammontare dei danni", sufficientemente allegati ed individuati in termini di compromissione del diritto a vivere in un ambiente salubre. Del resto a proposito del "pregiudizio non patrimoniale derivante dallo sconvolgimento dell'ordinario stile di vita", le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato che "va data continuità all'indirizzo interpretativo di recente espresso in sede di legittimità, in forza del quale il danno non patrimoniale conseguente a immissioni illecite è risarcibile indipendentemente dalla sussistenza di un danno biologico documentato, quando sia riferibile alla lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all'interno della propria abitazione e al diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini quotidiane, trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti, la cui tutela è ulteriormente rafforzata dall'art. 8 della convenzione europea dei diritti dell'uomo, norma alla quale il giudice interno è tenuto a uniformarsi" (cfr. Corte di Cassazione, Sezioni Unite, n. 2611/2017, ribadita da Corte di Cassazione nn. 10861/2018, 21504/2018 e 21544/2018).

Sul quantum debeatur sia sufficiente ricordare che "in tema di liquidazione del danno non patrimoniale con criterio equitativo, il giudice non è tenuto a fornire una dimostrazione minuziosa e particolareggiata di un univoco e necessario rapporto di consequenzialità di ciascuno degli elementi esaminati e l'ammontare del danno liquidato, essendo sufficiente che il suo accertamento sia scaturito da un esame della situazione processuale globalmente considerata" (Cassazione civile 10.11.2015 n. 22885).

Il primo giudice ha dato dimostrazione di avere complessivamente considerato ogni elemento di danno emerso dall'istruttoria processuale, a cominciare dalla potenziale nocività dell'attività condotta illecitamente dal C., fino all'inibizione a desinare all'aperto e a godere delle aree esterne per prendere il sole e per diletto di cui hanno riferito i testimoni degli attori. Ulteriore pregiudizio è certamente conseguito all'inquinamento del terreno limitrofo per la possibilità che le sostanze inquinanti disperse in esso oltre che nell'aria possano avere contaminato gli ortaggi sul terreno attoreo o reso meno sicuro il loro consumo, destando dunque preoccupazioni per la salute che è in sé un peggioramento della condizione di vita compatibile con la scelta di trascorrere una parte dell'anno in un'isola poco contaminata e vicino al mare.

La consistente durata temporale del fatto illecito - al tempo della sentenza di primo grado erano già trascorsi oltre dieci anni, di talché la misura riconosciuta per ogni anno solare è di meno di Euro 2.000,00 e gli attori sono due - ha grandemente pesato nella liquidazione.

La congruità della misura del risarcimento, poi, è dimostrata ampiamente dalla scaduta qualità della vita desumibile dalle prove documentali, da quelle fotografiche, dalle deposizioni dei testi, dal dato oggettivo - legittimamente presunto - per cui il grado d'inquinamento rilevato nel terreno nel 2014 si spiega con la pregressa continuativa e perdurante attività inquinante che l'attrice M. ha denunciato a partire dal 2008, epoca cui risalgono anche i primo atti d'indagine databili tra il 2009 e il 2010.

La quantificazione equitativa del danno è dunque supportata da motivazione logica.

10. M.M. e M.A. hanno spiegato appello incidentale avverso la sentenza n. 1209/2018 nella parte in cui il Tribunale ha respinto la domanda attorea di risarcimento del danno conseguente all'abuso edilizio commesso dagli originari convenuti. Hanno deplorato l'errata motivazione spesa dal primo giudice laddove ha statuito che "in ogni caso l'immobile degli attori è parimenti abusivo (cfr. ordinanza di demolizione prodotta) e, pertanto allo stato incommerciabile", denunciandone una falsa rappresentazione dei fatti e richiamando la documentazione versata in fase cautelare (il titolo a costruire in sanatoria dal Comune di Procida: decreti n. 61/2009 e n. 104/2015) che avrebbe rimosso ogni illegittimità urbanistica e ogni impedimento alla commerciabilità del bene.

Ulteriormente errata sarebbe la decisione per cui "La questione della sussistenza o meno di una riduzione della veduta determinata dalla costruzione (urbanisticamente abusiva) del capannone è irrilevante. Le violazioni della normativa edilizia (comprovate dall'ordinanza di demolizione prodotta), infatti, non danno diritto all'abbattimento del manufatto illegittimo ma solo al risarcimento del danno subito dal proprietario finitimo, danno da individuarsi nella riduzione di valore commerciale dell'immobile pregiudicato e nel mancato pieno godimento del medesimo. Orbene: tale danno non è stato provato e nemmeno compiutamente dedotto; dallo stato dei luoghi, quale può desumersi dalle fotografie prodotte, non risulta che l'immobile degli attori godesse di particolari vedute anche in assenza del capannone". A parere degli appellanti incidentali il danno sarebbe stato compiutamente allegato fin dall'atto di citazione che ha introdotto il giudizio con la richiesta di "Condannare i convenuti tutti ... al risarcimento dei danni connessi e conseguenti alla protratta privazione di veduta, luce ed aria" in ragione del fatto che "la collocazione e l'estensione del capannone - sia per altezza che per lunghezza - hanno completamente oscurato la veduta diretta ed obliqua esistenti in favore degli istanti sul fondo vicino nonché la loro servitù di luce ed aria".

10.1. Per l'effetto hanno così concluso: "dichiarare che l'immobile in Procida di proprietà dei coniugi M.M. e M.A. è perfettamente commerciabile e non abusivo, revocando l'erroneo accertamento reso dal Tribunale; accogliere la domanda risarcitoria formulata al capo 3) delle conclusioni dell'atto introduttivo di giudizio e, conseguentemente, condannare S.C., la P.Y.C. S.c.r.l., I.R. ed i coniugi N.A. e C. di P.A., in solido ovvero secondo ragione, al risarcimento dei danni arrecati ai coniugi M.M. con la costruzione del capannone abusivo, per protratta privazione di luce, aria e veduta, comportante riduzione del valore patrimoniale del fondo; quantificare il suddetto danno con criterio equitativo".

10.2. Preliminarmente va disattesa l'eccezione di inammissibilità dell'appello incidentale ancorché esso sia avvenuto quando il termine per l'impugnazione principale si è consumato per effetto della notifica della sentenza alla controparte, trovando in casi simili applicazione l'art. 334 c.p.c. per cui le parti, contro le quali è stata proposta impugnazione e quelle chiamate ad integrare il contraddittorio a norma dell'articolo 331 c.p.c. possono proporre impugnazione incidentale anche quando per esse è decorso il termine o hanno fatto acquiescenza alla sentenza, ma in tal caso, se l'impugnazione principale è dichiarata inammissibile, l'impugnazione incidentale perde ogni efficacia.

Né ha pregio il rilievo secondo cui militerebbe nel senso dell'inammissibilità il fatto che l'impugnazione incidentale abbia riguardato un capo autonomo della decisione di talché, rispetto ad esso, l'interesse al gravame in capo ai coniugi M. - M. non potrebbe dirsi generato dall'avvenuta proposizione dell'appello principale.

La Corte regolatrice, pur non senza contrasti, ha chiarito in proposito che "L'impugnazione incidentale tardiva è ammissibile anche se riguarda un capo della decisione diverso da quello oggetto del gravame principale, o se investe lo stesso capo per motivi diversi da quelli già fatti valere, dovendosi consentire alla parte che avrebbe di per sé accettato la decisione di contrastare l'iniziativa della controparte, volta a rimettere in discussione l'assetto di interessi derivante dalla pronuncia impugnata, in coerenza con il principio della cd. parità delle armi tra le parti ed al fine di evitare una proliferazione dei processi di impugnazione" (nel senso di cui alla massima, Cassazione civile, sez. III, 05.09.2022, n. 26139; Cassazione civile, sez. III, 11.11.2020, n. 25285; Cassazione civile, sez. VI, 07.07.2020, n. 14094; Cassazione civile, 12.07.2018, n. 18415). Va dunque esaminato il merito.

10.3. Il motivo è infondato.

La sentenza nella parte in cui ha escluso violazione delle distanze dai confini e dalle vedute è definitiva, di talché la presenza del manufatto, ancorché abusivo, non ha imposto alcuna servitù pregiudizievole ai danni degli originari attori.

Costoro hanno quindi insistito perché, in ragione della natura abusiva del manufatto esistente a distanza legale, sia loro ristorato un danno che non è insito nella violazione della distanza, bensì nella scaduta possibilità di godere della proprietà in termini di veduta, luce ed aria.

Il Tribunale è addivenuto alla conclusione di escludere tale danno in base ad un triplice ordine di considerazioni:

- il danno - da intendere come riduzione del valore commerciale dell'immobile pregiudicato dall'immobile abusivo altrui e come interferenza alla possibilità di goderne pienamente - non è stato allegato in maniera puntuale e di esso nocumento manca una specifica prova;

- le fotografie in atti non documentano che l'immobile degli attori M. - M. godesse di una visuale e veduta particolare che il manufatto abusivo possa avere ostruito o limitato;

- lo stesso immobile degli attori in primo grado è risultato abusivamente eretto.

Il motivo per come formulato censura solamente l'ultima concorrente ratio decidendi e si sforza di dimostrare, con riferimento alla prima, che sia stata allegata la consistenza del danno preteso in risarcimento, senza nulla obiettare quanto alla prova ritenuta mancata.

Sennonché va osservato come la omessa critica anche di una sola delle plurime rationes decidendi poste a base dello specifico capo della sentenza di primo grado fatto oggetto d'impugnazione vale a rendere inammissibile per carenza d'interesse la censura delle restanti rationes se ed in quanto le prime siano di per sé idonee a sorreggere la pronuncia sul punto (Cassazione civile, sez. II, 16.05.2022, n. 15496; Cassazione civile, sez. un., 04.04.2022, n. 10852; Cassazione civile, sez. III, 14.02.2022, n. 4678).

In ogni caso, pur accertando la natura legittima dell'immobile "danneggiato" dall'attività edilizia abusiva altrui, è insuperata l'assenza della prova di un danno da perdita del suo valore commerciale, mentre l'allegazione di un pregiudizio arrecato dalla costruzione illegittima al preesistente esercizio di veduta, luce ed aria non si è circostanziato in alcuna dimostrazione della cosa, una volta verificata la distanza che intercorre tra le tettoie e i confini.

Effettivamente, poi, le fotografie allegate nella produzione attorea non documentano una particolare veduta dall'immobile (composto da una costruzione interna e da un'area esterna destinata sia a giardino sia ad orto) dei coniugi M. - M. ostacolata dalle tettoie o capannone che dir si voglia.

Ne consegue che anche questa parte della sentenza impugnata merita conferma.

11. Al rigetto dell'appello sia principale sia incidentale consegue la statuizione sulle spese. In ragione dell'esito complessivo della lite queste possono essere compensate per la metà, tenuto conto anche dell'esito dell'istanza sospensiva e del ricorso ai sensi dell'art. 614 bis c.p.c. proposto in corso di causa, mentre vanno per la restante parte poste a carico degli appellanti principali che hanno visto confermata la posizione di soccombenti nel complessivo giudizio e che hanno costretto la controparte ad una difesa alla quale, altrimenti, avrebbero rinunciato, come dimostra quanto riferito al 10.2..

La liquidazione, in considerazione del valore della causa e delle questioni trattate, va fatta in base al III scaglione, facendo applicazione del D.M. 20 marzo 2014, n. 55 come modificato dal D.M. 13 agosto 2022, n. 147. Nulla è riconoscibile per la fase istruttoria che non si è celebrata.

Nulla per le spese agli appellati contumaci.

12. Infine si evidenzia che, a norma dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall'art. 1 comma 17 della L. n. 228 del 24 dicembre 2012, quando l'impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l'ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1 bis. Per tale ragione, la Corte dà atto che sussistono i presupposti di cui alla norma in esame per parte appellante sia principale che incidentale e che l'obbligo di pagamento sorge al momento del deposito della presente decisione.

P.Q.M.

la Corte di Appello di Napoli - II sezione civile, definitivamente pronunciando sull'appello come in epigrafe proposto e tra le parti ivi indicate, così provvede:

- rigetta l'appello principale proposto da C.S., in proprio e quale amministratore e legale rappresentante della P.Y.C. S.c.a.r.l. e l'appello incidentale proposto da M.M. e M.A. avverso la medesima sentenza emessa dal Tribunale di Napoli, XI sezione civile, n. 1209/2018, del 30 gennaio 2018, pubblicata il 5 febbraio 2018 e notificata in pari data;

- compensa tra le parti la metà delle spese del grado d'appello;

- condanna parte appellante principale C.S., in proprio e quale amministratore e legale rappresentante della P.Y.C. S.c.a.r.l. al pagamento dell'altra metà delle spese del presente grado del giudizio in favore di parte appellata M.M. e M.A. che liquida, già operata la dimidiazione, in Euro 1.990,00 per compensi professionali, oltre 15% per rimborso spese forfettarie, IVA e CPA come per legge;

- nulla per le spese ai contumaci;

- dichiara gli appellanti sia principali sia incidentali tenuti a versare ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la loro impugnazione ai sensi dell'art. 1 bis.

Così deciso in Napoli nella Camera di Consiglio in data 22 febbraio 2023.

Depositata in Cancelleria il 28 febbraio 2023.


Avv. Francesco Botta

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